In definitiva, in questo viaggio non abbiamo visto qualcosa in più da aggiungere all'album delle nostre esperienze, il fatto straordinario è che quello che arriva non è l'opera, ma qualcosa d'altro, che Maria Lai avrebbe potuto dire anche in modo diverso. Queste opere, per paradosso, non c'è per nulla bisogno di possederle, comunque sia, si porta via qualcosa, non se ne esce: perché si è imparato qualcosa. E cosa si è imparato fondamentalmente? Che se alle cose un senso non glielo dai, un senso non ce l'hanno. E che si potrebbe essere anche meno meschini. E che se sapessimo dire le cose il mondo esisterebbe. Certo, resta sempre il mistero del male: ma per Maria Lai il male non è mistero, è ignoranza.
Un'ultimo appunto va senz'altro all'istinto didattico di Maria Lai, che mentre diceva agli artisti di non fare mostre e di non ascoltare nessuno, voleva portare l'arte nelle scuole, non la parafrasi dell'arte, l'arte: attaccare un quadro al muro e chiedere ai bambini cosa voleva dire. Perché loro lo sanno! Così, chissà, se da grandi fossero stati geometri o panettieri avrebbero evitato di spacciare la bruttezza come necessità di un ordine pratico e razionale del mondo (o la bellezza come privilegio).